martedì 31 gennaio 2012

un cantiere navale in collina

                              

                                         
                         TO THE STORM

questa è la barca aggiornata 04-09 2012                                                             
















La prima volta che concepii l'idea di un viaggio in barca a vela fu dopo la lettura della drammatica vicenda di  Ambrogio Fogar e  Mauro Mancini. Brevemente per chi non conosce la vicenda: nel tentativo di circumnavigare l'Antartide, al largo del Brasile, il Surprise, la barca di Fogar, fu colpita da un gruppo di orche che l'affondarono. Cominciò per loro una drammatica sfida alla sopravvivenza, durata 74 giorni, dove però Mancini trovò la morte causa l'eccessivo deperimento da malnutrizione. Il libro "La zattera" descrive tutto ciò che successe loro durante i 74 giorni alla deriva.
La lettura, sebbene drammatica, aprì la mia mente a nuovi orizzonti. Mare, vento, avventura, diventarono un'ossessione. Da quel giorno Ambrogio Fogar divenne per me un simbolo. Vedevo in lui la persona capace di leggersi dentro e capire dove la sua mente voleva condurlo.

Cominciai a leggere altri resoconti di viaggi per mare, sentendo che nel cuore e nello spirito di quei navigatori pulsavano le stesse motivazioni di cui mi nutrivo anch'io.
Il tarlo del mare cominciò a rodere la mia mente, a farsi sentire costantemente malgrado cercassi di distrarmi altrimenti.

Cominciai la ricerca di un cabinato a vela che potesse ospitare e condurmi verso quei mari a me sconosciuti.
La ricerca spasmodica mi rese consapevole che il mondo della nautica era per pochi e ricchi eletti.
I costi delle barche erano elevatissimi, e trovando qualche cosa più a buon mercato la qualità e lo stato di degrado erano pietosi.
In quegli anni mi dedicai comunque ai grandi viaggi, per passione e per smorzare, ingannandomi, quella grande e tremenda voglia di mare.
Ma quel tarlo non desisteva, era lì, costante nei giorni, nei mesi, negli anni. Così un giorno capii che l'unico modo di sconfiggere quel tarlo era di assecondarlo, di dare spazio al suo volere.
Cominciai così a lavorare per il mio progetto, solcare il mare con la mia chiglia, puntare la prua verso quegli orizzonti tanto sognati.
Non trovando una barca adatta alle mie esigenze e tasche, decisi di costruirla.
Ci vollero mesi per trovare un disegno soddisfacente, ma un giorno eccolo, lo trovai.
Dalla penna di Alessandro Cantini (www.acdyacht.it)  nacque lo Start 80, dalle linee armoniose e dallo scafo robusto.
Progettata in compensato marino e resina epossidica era bella, robusta e veloce.
Quei disegni divennero subito i miei, e presto cominciai a costruire "To the storm"
                    

tracciatura seste per la realizzazione dello scafo

gli albori della costruzione


lo scafo durante il rivestimento con il compensato marino

                                           
                                              
IL VIAGGIO COMINCIA DAL TRONCO (Marco Grossi)


Acquistato il progetto e facendo leva sulle mie capacità di costruire qualsiasi cosa, cominciai l'opera.
Dapprima costruii le grandi centine in compensato di pioppo, poi le posizionai sul tetto del mio garage adibito ed attrezzato a falegnameria.
Già lo scheletro abbozzato era di grande effetto e soddisfazione.
Da subito mi resi conto che sarei arrivato all'obbiettivo, che avrei goduto in mare con la mia creatura.
I lavori erano tanti e il traguardo lontano, così per non avvilirmi decisi di frammentare la realizzazione in tanti piccoli traguardi, pensando in tal modo di riuscire a conservare l'entusiasmo sino alla fine, in un percorso che si preannunciava davvero lungo.
Per esempio: realizzare le centine;
assemblarle per dare forma allo scafo;
cominciare il rivestimento con il compensato;
effettuare resinatura e verniciatura.
E così via, in questo modo sono riuscito a svolgere ogni lavoro con precisione e passione.
Molte volte, alla sera, dopo aver realizzato qualcosa, mi sedevo e guardavo l'opera che prendeva forma rapidamente.
In un mese riuscii a dare forma allo scafo. L'emozione e la soddisfazione erano alle stelle.
La sfida che mi ero prefissato era realizzare la barca interamente da solo, non intendevo farmi aiutare neanche per farmi porgere il martello.
Finito lo scafo, lo misurai con gli strumenti laser e risultò perfetto. Da prua a poppa era deviato di un solo millimetro.
Il rivestimento risultò talmente perfetto che mi bastò mezzo chilo di stucco per colmare alcune imperfezioni e tappare le viti.
La resina epossidica risultò essere un materiale forte, tenace e di facile utilizzo.
Resina e microsfere addensanti mi aiutarono come un operaio.
Intanto, il mio caro amico Marco Grossi, ingegnere e uomo di grande sensibilità, si appassionò immediatamente a quella mia nuova pazzia, ma fu l'unico che spendeva le sue notti e le sue biro per inventare migliorie da propormi su fogli scalcinati.
Altre persone si limitavano a darmi del "solito presuntuoso".


Prima di realizzare la barca, mi documentati a fondo sui tipi di colle esistenti in commercio che potessero essere adatte per l'incollaggio dei legni di un'imbarcazione.
Tutti mi consigliarono la Colla rossa, tenace e marina al 100%.
Ne comperai un barattolo e cominciai a fare delle prove nella mia falegnameria. I test eseguiti confermavano i consigli di cui ero stato dispensato, ma quando mi trovai ad incollare i compensati, grandi e poco maneggevoli, trovai subito delle difficoltà pratiche. La colla essicava troppo in fretta e non riuscivo a stringere le parti da incollare con la pressione sufficiente per ottenere un'adesione impeccabile.
La colla bianca era da escludere, non rimaneva che l'epossidica. Certo i costi erano decisamente superiori, ma dovetti arrendermi.
Comprai 1,5 kg di resina 10 10 CFS della Cecchi, ed il venditore mi consegno anche il deplian dei vari prodotti che la ditta produceva.
Leggendo il deplian non c'erano solamentei vari prodotti sul mercato, ma anche suggerimenti e metodologia di applicazione nei diversi casi.
Feci le prime prove in laboratorio e rimasi stupefatto. Vessatile, di facile utilizzo, ma soprattutto tenace nella presa.
Non ci furono più dubbi, la barca doveva essere costruita interamente con la  10 10 CFS e tutti gli addensanti della collana che applicavo a seconda della tenuta. Se non avessi avuto l'epossidica il lavoro sarebbe risultato estremamente più difficoltoso!
Consiglio a tutti i futuri autocostruttori di indossare guanti per lavare i piatti o in lattice resistente e una mascherina a carboni attivi: condurrete la vostra barca al varo senza alcun problema, 
Per evitare di entrare in contatto con la resina attraverso un'altra parte del corpo, ogni volta che resinavo indossavo 3 paia di guanti, il k-way e nastravo i polsini.
Dentro il capannone, con un caldo torrido adatto alla polimerizzazione della resina, il mio nuovo look funzionava, ma non era proprio dei più "freschi". Finito il lavoro, mi toglievo uno strato di guanti per volta poi mi levavo il k-way e lo svuotavo da quantità impressionanti di sudore.
Fu proprio in una di quelle occasioni che cominciai a coniare il nome della barca. To the Storm.




                                                 TO THE STORM

Il nome della barca nacque quindi così, tra il sudore, le parolacce e il caldo che mi sfiancava, ma l'umore l'entusiasmo erano sempre allo stesso livello.
Sentivo che nulla mi avrebbe fatto cambiare rotta.
Il viaggio era cominciato e quello era già il mare in tempesta. Non mi sarei di certo arreso, il mio carattere tenace e testardo era nuovamente pronto a difendere i suoi diritti e i suoi spazi
" To the storm"è il mio modo di vivere, non sono capace ad affrontare la vita in modo semplice e scontato, mi piace affrontare tutto con determinazione e personalità.
carteggiatura resina epossidica

scafo al tramonto

lo scafo terminato


ogni inverno la neve è venuta a curiosare

la struttura portante della tuga, successivamente rivestita con fogli di compensato

io e la mia To the storm

alle prese col teak

realizzazione coperta

realizzazione coperta in teak

madieri e rinforzi per la deriva


bagnetto


scaletta per uscire e vano motore

poppa con spiaggetta


Per la maggior parte dei navigatori il viaggio comincia dalla cambusa o dai piccoli lavoretti a bordo, per me cominciò dal tronco di un'albero.












  IL GIRO DEL MONDO IN BARCA A VELA



Mentre la barca prendeva forma giorno dopo giorno, non potevo fare a meno di pensare a tutte la mete che avrei voluto raggiungere.
Sebbene io non vantassi grandi esperienze in mare, il tarlo del giro del mondo diventava sempre più ostinato.
La mia mente era ossessionata da quella grande avventura in solitaria, ma allo stesso tempo cercavo di convincermi che sarebbe stata un'impresa troppo azzardata.
Ma gli azzardi erano sempre stati una mia specialità, anche se quello sembrava occupare il primo posto tra le idee assurde, sino all'epoca concepite.
Per distrarmi e per volere, intrapresi una serie di viaggi in posti lontani, come fossero propedeutici  alla mia condizione psicofisica.
Certo, nessuno assomigliava neanche lontanamente a quello del Giro del mondo, ma volevano essere una palestra emozionale per testare la mia emotività in condizioni di lontananza, disagio e privazioni.
Negli anni passati, quando praticavo alpinismo ed arrampicata, avevo avuto modo di sperimentare avversità e  pericoli costanti. In molti "scampati pericoli" ebbi modo di conoscere la paura e la morte a distanza ravvicinata, come quando precipitai da un ghiacciaio sulle Alpi Apuane. Quel giorno, dopo un volo con salti per più di 70 metri, mi salvai piantandomi a folle velocita in una piccola zona di neve poco prima di un alto precipizio che avrebbe messo fine ad ogni avventura. Me la cavai con qualche abrasione, pantaloni sbrindellati e qualche livido.
I miei compagni di cordata mi raggiunsero in un'ora e mezza, mi aiutarono a scendere a valle con le gambe che mi tremarono a lungo.
La domenica successiva ero nuovamente tra i ghiacci del Monviso.

Già all'età di 16 anni con il mio spericolatissimo amico Fabio Pierpaoli (autore di alcuni libri di free climbing) ogni giorno ci avventuravamo nelle falesie della costa ligure per scalare quelle pareti strapiombanti  a picco sul mare. Era ancora tutto da chiodare e da esplorare, ed era bello essere i pionieri di quei posti sperduti ed inaccessibili.
Avventura e pericolo erano il binomio che avevamo incisi sulla pelle. Lui era un folle pazzoide ed io lo stesso ad andargli sempre dietro.

Nel 2001, con il mio amico Sandro, durante l'ascensione del Monte Tagliaferro nei pressi di Varallo Valsesia, a metà parete fummo sorpresi da un violento temporale. Dapprima sottoforma di precipitazione piovosa, successivamente grandine. Un forte vento freddo prese il posto delle prime due condizioni. Imprigionati a qualche centinaio di metri dal suolo, fu la mia cartina sotto la maglietta fradicia ad aiutarmi a mantenere il calore sufficiente per raggiungere la vetta con successo, ma non senza attimi di disperazione.

Un'estate, della quale non ricordo l'anno, sempre insieme al mio amico Paolo, mentre dormivamo nella nostra tenda sulla cima di un monte nei pressi di Cogne in Valle d'Aosta, si scatenò un violentissimo temporale.
Fulmini e saette esplodevano a pochi metri dalla tenda. In fretta e furia uscimmo allo scoperto, smontammo rapidamente il campo e bagnati fradici andammo a ripararci qualche centinaio di metri più a valle.
Mentre correvamo tra il buio pesto della notte ed il bagliore accecante di quei fulmini minacciosi, sentivamo la pelle risucchiata dall'aria elettrica. Quando il temporale spendeva la sua ultima spietata energia, noi facevamo i conti con i segni che il flusso aveva lasciato.
Fradici, infreddoliti e senza indumenti asciutti, affrontammo la discesa sino a valle dove l'auto ci attendeva noncurante di quello che avevamo passato.
In ogni circostanza cera un filo conduttore, la natura ed il suo carattere.
La natura e le sue meraviglie
La natura e i suoi colori.
La natura e tutto ciò che riusciva a trasmettermi con un'emozione incontrollabile.
Le lunghe camminate sotto la pioggia, le notti in tenda a temperature rigidissime, il caldo bruciante dei deserti, l'aria umida e ricca di sapori del bosco dopo la pioggia erano elementi che completavano la mia personalità contorta.

Nel tentativo di capire chi ero, chi sono, dove volevo andare, sembrava che l'unica strada percorribile fosse quella. Rapporti difficili con le persone, tante incomprensioni e solitudine.
Una solitudine prima subita, poi capita, poi accettata e poi compagna di vita.

Così mentre To the storm prendeva forma, anch'io crescevo.
La barca divenne non soltanto un oggetto vivo ma una metafora di vita.

Non ho ancora pianificato in modo preciso il giro del mondo con "To the storm", ma voglio creare qualcosa di importante. Vorrei essere portavoce di un messaggio che tutto è possibile se si è veramente intenzionati ad ottenerlo. A grandi linee, sfruttando gli alisei che soffiano per alcuni mesi tra novembre e febbraio, vorrei attraversare l'Atlantico sino ai Caraibi. Poi attraverso Panama spingermi sull'oceano Pacifico, e fare rotta verso la Polinesia Francese  sino a raggiungere L'indonesia. Attraversare l'oceano Indiano, Capo di buona speranzae ritornare a casa lungo la costa dell'Africa.



                                                               LA TUGA

Finito lo scafo, con l'aiuto di 27 uomini del mio paese, lo ribaltammo con la sola forza delle braccia.
Costruii due ruote di legno sulle quali fare ruotare lo scafo che pesava circa 15 quintali.
Fu un'ennesima emozione vedere finalmente la barca nella sua posizione naturale. Un altro piccolo traguardo era stato tagliato.
il giorno che ho capovolto lo scafo con 27 uomini del paese
La barca fu accolta eretta ed elegante con un lungo applauso e... tanto sudore sulla fronte!

Il vedere finalmente la reale forma della barca rendeva frenetica la mia voglia di vederla terminata, ma sapevo che la fretta avrebbe influito negativamente sulla qualità e l'estetica.
Intanto gli impegni "extra-barca" erano molti e i lavori andavano talvolta a rilento.
Neppure gli inverni aiutavano, perché la resina alle basse temperature non catalizzava bene.
Spesso così passavano mesi interi prima di poter mettere mano a qualche lavoro.
Il tempo in cui non lavoravo alla barca non era comunque perso, studiavo e cercavo di trovare soluzioni per poter semplificare al massimo la costruzione.
Il fatto di ostinarmi nel fare tutto da solo era meraviglioso, ma spesso lo sforzo era decuplicato, proprio come il tempo impiegato.
Tutto doveva essere studiato alla perfezione "mille misure e un taglio solo", non esisteva in tutta la barca un pezzo dritto... Tutto era piegato e curvo.
Uno dei momenti più importanti della costruzione era la notte.
Nel silenzio e nella tranquillità potevo pensare meglio, e sviluppavo le soluzioni più veloci che il giorno seguente mettevo in atto con molta facilità.
La cosa interessante che in tutta la realizzazione non ho mai avuto alcun problema di realizzo.
Molto spesso Marco arrivava con appunti, schizzi e una lista infinita di cose da fare. Appuntamento all'alba sulla barca, focaccia e tanto entusiasmo.
E' proprio grazie alla sua esperienza di velista e alla sua inventiva, se oggi To the storm è così funzionale per la vita in mare. Naturalmente Alessandro Cantini, il progettista, aveva già studiato una barca perfetta, ma noi abbiamo personalizzato il suo carattere.

Durante la costruzione la passione cresceva, prendeva forma la tuga, il passavanti, gli interni ed era sempre più bella.
Penalizzandola un po' nel peso, decisi di cimentarmi nella realizzazione della coperta con il teak.
Un lavoro meraviglioso. La notte pensavo come fare e di giorno andavo come un treno in corsa. In tre giorni la coperta era pronta.
Chiunque si fermasse a vedere la barca rimaneva ad occhi aperti. Sembrava costruita da un cantiere.


                                                   GLI INTERNI

   La stessa regola di eleganza volevo adottarla anche per gli interni. Sapendo che un giorno avrei abitato nel suo interno per settimane o mesi, volevo fossero belli, funzionali e pratici.
Scelsi di fare il lavandino semicircolare, mi costruii una dima, poi pressai 3 strati di compensato da 3 mm. A colla essicata ecco il mio lavandino, e con un trancio di pochi decimi di ciliegio lo rivestii.
Con del massello di mogano ho fatto tutto il bordo, dolce ed armonioso.
Un lavoro che mi diede una soddisfazione infinita!

tavolo da carteggio e strunentazione
Anche il piccolo tavolo da carteggio risultò essere un lavoro estremamente interessante.
Anch'esso realizzato in compensato e ciliegio.

Il tavolo della dinette: mi pare di sentirla ancora ora l'emozione mentre con la cartavetrata levavo gli ultimi angoli vivi prima di verniciarlo...

Quando finii di montare il tutto, la barca assomigliava sempre di più ad una piccola casa e quindi la inaugurai... con una bella dormita in cuccetta!

gli interni, ancora da completare con la cuscineria e gli sportelli
                                              

                                                             LA STRUTTURA

Cantini aveva progettato la barca per il doppio della robustezza rispetto a una normale imbarcazione.
To the storm è lunga 8,50 cm e pesa 2400 kg.
Ha unalbero di quasi 12 metri ed una velatura da siluro.


                                                  PIANIFICAZIONE DEL VIAGGIO

Mentre i lavori alla barca procedono, molto del tempo lo impiego nella ricerca di sponsor che sostengano la mia avventura.
Per prima cosa deciso nel rendere pubblica la mia vicenda, contattando la rivista" Il Giornale della vela".
Alessandro De Angelis mi ascolta incuriosito e nel giro di pochi giorni, con la collaborazione di Tommaso che si occupa del sito web della rivista, scrive e pubblica un articolo su di me.(Gian Paolo Ferrari il giornale della vela).
Il progetto prende vita e con l'euforia di questo nuovo mezzo mediatico, mi butto con maggior impegno nella ricerca di fondi.
Anche il mio amico Alex Bellini, mi introduce all'interno del suo sito facebook.
Gli sponsor, non tutti, rispondono alle mie richieste, alcuni sono sbrigativi e negativi, altri vogliono ulteriori dettagli.
Destreggiarsi nel labirintico mondo degli sponsor è un vero lavoro.
Intanto cominciano le prime risposte positive. La Cecchi, ditta che produce resina epossidica e svariati prodotti per la realizzazione di imbrcazioni e il loro ripristino, promrtte di fornirmi il necessario per ultimare la verniciatura e la stuccatura dello scafo.
Visito l'azienda con il cordialissimo Marco Cecchi che mi illustra la miriade di prodotti da loro studiati e sperimentati. Sono sbalordito nel vedere un'azienda condotta con tanto rispetto ed amore.
Parliamo per 4 ore, Marco mi racconta della sua azienda, della sua vita, dei suoi progetti e dei dolori che si porta dentro.
Esco dagli uffici che ormai è tardi, con una calorosissima stretta di mano e tanti doni nell'altra.
                                 procedono i lavori di rinforzo in tutte quelle parti di maggiore stress

La lista dei lavori è ancora lunga, io sono da solo e quindi l'avanzamento lavori dipende solamente da me.
Il caldo è infernale, fuori si cuoce, fortunatamente all'interno della barca si sta decisamente meglio.


ho fatto dei rinforzi sul mascone, riportando a legno una parte gia terminata, ma ne è valsa la pena. Carteggiare in cuccetta è stato massacrante!









Dopo i rinforzi sono passato alla carteggiatura coperta, non ne potevo più di vederla così ingrigita!


Fortuna che ho la mia Dani che si preoccupa di immortalare i miei lavori...figlia di un fotografo (Enrico Belluschi)


                                         malgrado tutto il buonumore non manca mai



Questa barca l'ho costruita io! da solo. è un'impresa impossibile? no. Non mi stanco mai di dirlo. Mi sento in dovere di dirlo al mondo intero.  Realizzare una barca bella e solida, anche da soli, è possibile.
Se lo sognate dovete farvi coraggio e cominciare.

                    

2 commenti:

  1. Dear Gian-Paolo,

    impressive what a small tarlo (woodworm) can do with a strong man ;-)

    Greetings



    Ralf

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  2. Sono Alberto, ho chiamato questo pomeriggio per il rustico e curioso come sono per la nautica sono andato subito a vedere il “Cantiere”. Qualsiasi complimento non sarebbe mai sufficiente. Ho seguito sulla rete costruzioni di barche fai da te ma “TO THE STORM” non ha eguali. Anch’io ho navigato, seppure in acque nostrane, e appartengo alla categoria della gente comune, quella che il viaggio lo comincia dalla cambusa. Sono contento perche leggendo ho ricordato quando mio padre, conoscente di Fogar, molti anni fa mi regalò il libro la zattera, autografato dallo stesso navigatore. Se avessi bisogno di suggerimenti sul viaggio, sulla meteorologia, ecc. tramite il suo sito, potresti contattare Alex Bellini che nel 2008 “Alone” ha attraversato l’atlantico a remi su di una “canoa” lunga circa 6 o 7 metri, fino ad arrivare sulle coste Brasile. Sperando un giorno di poter venire ad ammirare l’opera “viva e morta sulla collina” ti faccio i miei migliori auguri per il tuo progetto.
    AlbertoBrambilla E’ il sentiero che conta, non la sua fine. Muoviti veloce e perderai ciò per cui viaggi

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